Noi, se si ha a dire la verità, noi ce ne stiamo in panciolle, e attendiam solamente se uno ci fa sacrifizio, se i nostri altari fumano: il resto come va va. Però ora ci tocca questo, e ci toccherà di più, quando gli uomini, levando un po’ più il capo, s’accorgeranno che sacrifizi e processioni non fanno loro alcun pro. E tra poco vedrai gli Epicuri, i Metrodori, i Damidi beffarci, ed i nostri avvocati scornacchiati e ridotti a turarsi la bocca. Sta in voi adunque porre un termine ed un rimedio a questi mali, chè voi li avete fatti crescere tanto. Per Momo non v’è pericolo che egli non avrà più onori: chè già da molto tempo non ne ho, mentre voi godete e scialate di sacrifizi.
Giove. Lasciamo, o Dei, gracchiare costui, stato sempre un aspro censore. Dice il gran Demostene, l’accusare, il biasimare, il censurare è cosa facile, e chiunque può farla; ma trovare un espediente utile, qui pare il senno di chi consiglia. Ed io so bene che voi il troverete, e farete anche tacer costui.
Nettuno. Sebbene io mi sto sott’acqua, come sapete, e me ne vivo in fondo al mare, secondo mio potere salvando i naviganti, guidando i navigli, e governando i venti; pure, perchè le cose di qui mi sono anche a cuore, io dico che bisogna toglier di mezzo questo Damide prima che venga a disputare, o col fulmine, o con altro modo, acciocchè non vinca parlando; chè tu, o Giove, lo dici uomo entrante e persuasivo. E noi mostreremo ancora come sappiamo punire chi sparla così di noi.
Giove. Tu scherzi, o Nettuno; o pure ti se’ dimenticato, che noi non abbiamo questo potere, noi, ma le Parche, le quali filano a ciascuno la sorte sua; chi deve morir di fulmine, chi di spada, chi di febbre, chi di tisi?
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