Se fosse stato in poter mio, credi tu che non avrei scagliato una saetta a quei ladri che testè in Pisa mi tagliarono due ricci, pesanti sei mine l’uno, e se n’andarono; e tu avresti veduto in Gerasto quel pescatore d’Oreo rubarti il tridente? E poi parrà che noi ci accoriamo troppo di questa cosa, e che ci spauriamo degli argomenti di Damide, e che però ci sbrighiamo di lui senza aspettare di cimentarlo con Timocle. E infine sai che si dirà? che vogliam vincere la causa in contumacia.
Nettuno. Eppure io credevo d’avere trovata una scorciatoia per vincere.
Giove. Va, l’è pensata d’un tonno cotesta; l’è proprio grossa, o Nettuno, togliere di mezzo l’avversario, acciocchè muoia non vinto, e lasci sospesa ed indecisa la disputa.
Nettuno. Ebbene, pensatene voi una più sottile, giacchè la mia vi pare tanto grossa.
Apollo. Se a noi altri giovani e ancora sbarbati la legge permettesse parlare, forse direi cosa utile alla nostra questione.
Momo. La questione, o Apollo, è sì grave che non si bada ad età, ed a tutti è lecito parlare. Saria bella! corriamo tanto pericolo, e stiamo a stiracchiare le leggi. E poi tu hai l’età da parlare, chè già da un pezzo uscisti di garzone, e sei scritto tra i dodici Maggiorenti, e quasi quasi sei del consiglio di Saturno. Onde non farci il fanciullo, e di’ il tuo parere, senza vergognarti che sei sbarbato e parli, avendo per figliuolo Esculapio che porta tanto di barba. E poi ti conviene specialmente adesso sfoderar la tua sapienza, se no stai per scherzo sull’Elicona a filosofar con le Muse.
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