E poi quand’eri vivo potevi forse fare una tal cosa; ma dacchè sei divenuto iddio, hai dovuto imparare, credo, che le sole Parche hanno tanto potere, noi no.
Ercole. Dunque anche quando io uccideva il leone e l’idra, le Parche l’uccidevano per mezzo mio?
Giove. Certamente.
Ercole. Ed ora se uno m’oltraggia, e mi spoglia il tempio, o mi rovescia la statua, io, se le Parche non l’hanno già stabilito, non posso far polvere di lui, io?
Giove. Niente affatto.
Ercole. Dunque odimi, o Giove, chè io ti parlo schietto. Come dice il Comico: da villan che io sono, dico pane il pane. Se così si sta qui da voi, io vi pianto con tutti gli onori, i fumi, e il sangue delle vittime, e me ne scendo all’inferno: dove, se ho solamente l’arco, sarò almeno temuto dall’ombre delle bestie da me uccise.
Giove. Oh, ecco un testimone domestico, come si dice. Veramente n’hai salvato, suggerendo questo altro a Damide, acciocchè lo dica! Ma chi è che vien frettoloso? quel bel giovane di bronzo, ben disegnato, ben pulito, col ciuffo all’antica? È tuo fratello, o Mercurio, quel di piazza, che sta presso al Pecile: è pieno di pece, perchè ogni giorno serve di forma agli statuarii. Perchè tanta fretta, o figliuolo? Ci rechi novelle dalla terra?
Il Mercurio di piazza. Grandissime, o padre, e importantissime.
Giove. Di’ pure, se è surto qualche altro imbroglio sfuggito alla mia attenzione?
Il Mercurio di piazza.
Stavo testè con la pazienza solitaA farmi impegolar da’ statuarii
Il petto e il dorso: impiastricciata aveanmiIntorno al corpo corazza ridicola
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