Allacciata strettissimo, per togliereBen l’impronta del bronzo: ecco gran popolo,
E in mezzo due figuri gialli stridere,
E accapigliarsi con sofismi; Damide e....
Giove. Bastino gli sdruccioli, o caro, chè so di che parli. Dimmi un po’: han cominciato da molto la zuffa?
Il Mercurio di piazza. No: stavano ancora scaramucciando: si scagliavano male parole come sassi.
Giove. Che altro dunque ci resta a fare, o Dei, se non affacciarci ed ascoltarli? Le Ore tolgano i catenacci, e aperte le nubi, spalanchino le porte del cielo. Cappita! che folla s’è radunata! Ma Timocle ha un viso che non mi piace, è sbigottito e confuso. Costui ci farà brutto giuoco oggi. Si vede chiaro che non potrà tener fronte a Damide. Ma tutto quello che noi possiamo è far voti per lui,
Muti entro noi, che Damide non oda.
Timocle. Che dici, o empio Damide? non esistono gli Dei, nè si curano degli uomini?
Damide. No: ma rispondimi prima tu; per quali ragioni ti persuadi che essi esistono?
Timocle. No, no, rispondimi tu, sozzo can vituperato.
Damide. No: tu.
Giove. Finora il campion nostro va molto meglio, e strilla più forte. Bravo, o Timocle, accoppalo con le male parole; chè in queste tu vali un castello: nel resto ei ti renderà muto come un pesce.
Timocle. Io, giuro a Minerva, non ti risponderò il primo io.
Damide. Dunque, o Timocle, dimanda: hai vinta questa, perchè hai giurato. Ma senza villanie, se ti pare.
Timocle. Ben dici. Dimmi dunque, non credi, o scellerato, nella provvidenza degli Dei?
Damide. Niente affatto.
Timocle.
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