Ma quando Euripide, senza che sia spinto dalla necessità del dramma, dice ciò che ei pensa, odilo allora come parla chiaro:
Guarda quest’alto, quest’etere immenso,
Che abbraccia la terra mollemente?
Credi che questi è Giove, questi è Dio,
ed un’altra volta:
Giove, chiunque questo Giove sia;
Chè io non lo so, l’ho udito solo a dire,
e simili.
Timocle. Dunque tutti gli uomini e le nazioni s’ingannano a credere che gli Dei esistono, e celebrar feste in loro onore?
Damide. Bene, o Timocle, che mi fai ricordare delle diverse credenze dei popoli; dalle quali si vede che nessun costrutto si può cavare delle cose che si dicono degli Dei. V’è una confusione grande, ed ogni gente ha sua credenza e culto. Gli Sciti adorano la Scimitarra, i Traci Zamolchi un fuggitivo di Samo che si riparò tra essi, i Frigi la Luna, gli Etiopi il giorno, i Cillenii Fanete, gli Assirii una colomba, i Persiani il fuoco, gli Egiziani l’acqua. Benchè per tutti gli Egiziani sia dio l’acqua, pei Menfiti particolarmenle un bue è dio, pei Pelusioti una cipolla, per altri un ibi o un coccodrillo, per altri un capodicane, un gatto, una scimmia: nelle campagne poi una villa tiene per dio l’omero destro; un’altra villa dirimpetto, l’omero sinistro; dove adorano una mezza testa, dove una ciotola di creta, dove un piattello. E tutto questo come non ti fa ridere, o Timocle mio bellone e rugiadoso?
Momo. Non ve lo dicevo io, o Dei, che tutte queste cose verrebbero a luce, e che vi sarebbero riveduti i conti?
Giove. Lo dicevi, o Momo, e avevi ragione di riprenderci: ed io m’ingegnerò di aggiustarle, se scamperemo da queste botte.
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