Ma se ci hai piacere, odi come di Pitagora ora son gallo, e prima in quante vite io sono vissuto, e i casi che mi sono intervenuti in ciascuna metamorfosi.
Micillo. Di’ pure. Io avrò tanto piacere a udirti, che se uno mi desse a scegliere se voglio piuttosto udire il tuo racconto, o riavere quel felicissimo sogno di poco fa, io non so che sceglierei: chè il tuo racconto e quel dolcissimo sogno mio per me son fratelli carnali: egualmente vi ho cari, te e quel carissimo sogno.
Il gallo. E ancora ripensi al sogno che hai avuto, e ricordi vane apparenze, immagini di ben seguendo false, come dicono i poeti?
Micillo. I’ non mi scorderò mai di quella visione. E sappi, o gallo, che il sogno partendosi da me m’ha lasciato tanto mele sugli occhi, che appena apro le palpebre, desiderose di richiudersi e dormire. Quel piacere che dà una penna che ti gratta nell’orecchio, quel solletico mi danno le cose ch’io ho vedute.
Il gallo. Per Ercole! Tu parli con troppo amore di cotesto sogno. Dicono che i sogni sono alati, ma non volano oltre i confini del sonno. Eppure il tuo ha saltato anche questa barriera, e tu te lo vedi ad occhi aperti così dolce e così chiaro. Mi fai venir la voglia di udirlo, dacchè tanto ti piace.
Micillo. Son pronto a dirtelo: m’è dolce il ricordarmene ed il raccontarlo. E tu, o Pitagora, quando mi conterai delle tue metamorfosi?
Il gallo. Quando tu, o Micillo, avrai finito di sognare, e pulite le palpebre impiastricciate di mele. Ma prima dimmi, voglio sapere se è volato dalla porta d’avorio o da quella di corno il sogno che ti è venuto.
| |
Pitagora Ercole Pitagora Micillo
|