Allora, come dice Omero, un veramenteDivino sogno per l’ambrosia notte
Sovra il capo mi stette.....
Il gallo. Ma contami prima, o Micillo, che vi fu in casa Eucrate, come fu la cena, e tutte le particolarità del convito. Così potrai cenare un’altra volta, rifacendo come un sogno di quel convito, e ruminando nella memoria quello che ti mangiasti.
Micillo. Credevo una seccaggine a contarli anche questo: ma tu lo vuoi, ed io te lo dico. Dacchè io son nato, o Pitagora, non ho cenato mai in casa di un ricco: e la mia buona fortuna ieri mi fè’ scontrare Eucrate. Io me gli accostai, e al solito gli dissi: Buon dì, o padrone; e mi trassi indietro, perchè mi vergognavo con quel mio mantellaccio vecchio di andargli appresso. Ma egli mi disse: O Micillo, oggi io fo un convito per celebrare il natale della mia figliuola, ed ho invitati degli amici assai. M’han detto che uno di essi è ammalato, e non può cenare con noi. In luogo suo ci verrai tu dopo il bagno; se pure colui, a un secondo invito, non mandi a dire che verrà: il che è incerto ora. Udendo questo, io gli baciai la mano, e me ne andai pregando tutti gli Dei che mandassero una febbre ostinata, una pleurisia, o la gotta a quell’ammalato, in luogo del quale ero stato invitato io. Sino all’ora del bagno mi parve un secolo; ogni poco andavo a guardare di quanti piedi era l’ombra del quadrante, e quando fosse l’ora di bagnarmi. Venuta finalmente quest’ora, presto, presto mi lavai, mi raffazzonai alla meglio, mi rivoltai il mantello con la parte men lorda di fuori, e m’avviai alla casa d’Eucrate.
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