Dopo di questo debbo dirti io quanti vantaggi arreca l’oro? chi ha oro è bello, è sapiente, è forte, è rispettato, è onorato, e d’oscuro omicciattolo ch’egli era, divien tosto un celebrato omaccione. Conosci tu quel mio vicino, dell’arte mia, Simone, che non ha molto cenò meco, quando nei saturnali io cossi la polenta, e vi messi dentro due salsicciuoli?
Il gallo. Lo conosco quel rincagnato, quell’ometto, che si prese l’unica scodella di creta che ci avevamo, e se n’andò portandosela sotto l’ascella dopo cena. Io lo vidi, o Micillo.
Micillo. Come? egli me la rubò, e giurava per questo e per quel dio che no? Ma tu perchè non gridasti allora e non m’avvertisti, o gallo, che lo vedevi rubarci?
Il gallo. Schiamazzai; questo solo m’era possibile allora. Dunque, Simone...? Volevi dire una cosa di lui.
Micillo. Aveva egli un cugino straricchissimo, a nomo Dimilo, il quale mentre visse non diede mai un obolo a Simone. Eh, darglielo? non ne toccava neppur egli di quelle tante ricchezze! Ma costui non ha guari è morto, e tutto quel bene per legge è toccato a Simone: e quel cencioso, quel sozzo, quel leccascodelle affamato ora va in cocchio, vestito di porpora; ha servi, mute di cavalli, vasellame d’oro, mense con piedi d’avorio, è rispettato da tutti, ed ora non mi guarda più in faccia. Ultimamente lo scontrai, e lo salutai: Buondì, o Simone. Si prese collera, e voltosi a’ suoi servitori: Dite a questo paltoniere, disse, che non mi smozzichi il nome: io mi chiamo Simonide, e non Simone. Il più bello è che le femmine gli vogliono bene, ed egli tutto boria, con alcune fa lo sprezzante, con altre fa il cascante, e le sprezzate si voglion proprio impiccare per lui.
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