Vedi miracoli che fa l’oro! fa belli i brutti, come quel cinto de’ poeti. Tu sai come ne parlano i poeti:
O fulgid’oro, il più leggiadro acquistoDe’ mortali sei tu.
eIl gran signore de’ mortali è l’oro.
Ma intanto di che ridi, o gallo?
Il gallo. Della tua sciocchezza, o Micillo, e del tuo inganno, che anche tu, come gli altri, credi felici i ricchi: i quali sappi che vivono vita più misera della vostra. Te lo dico io, che sono stato e povero e ricco molte volte, ed ho provata ogni condizione di vita. Tra poco anche tu lo conoscerai.
Micillo. Sì, per Giove, è tempo che tu mi conti delle tue trasformazioni, e di quel che hai provato in ciascuna vita.
Il gallo. Ascoltami: ma prima sappi questo, ch’io non ho veduto mai uno più felice di te.
Micillo. Di me, o gallo? Desidero altrettanto a te. E sì chè mi sforzi proprio a dirtela un’ingiuria. Ma veniamo a bomba, comincia da che fosti Euforbo, come fosti cangiato in Pitagora, e poi di mano in mano, fino ad ora che sei gallo. In tante vite hai dovuto vedere e patire tante cose!
Il gallo. Come da principio per comando d’Apollo l’anima mia discese su la terra ad abitare il corpo d’un uomo (per espiare una certa pena, che saria lungo a dirti, e poi a me non lice divulgar tali misteri nè a te udirli), ed io fui Euforbo....
Micillo. Ed io chi ero prima d’esser io? Dimmi prima questo, o mirabile gallo, e se anch’io una volta ero un altro, come tu.
Il gallo. Sì certamente.
Micillo. E chi ero dunque? Dimmelo se puoi, chè ho gran voglia di saperlo.
Il gallo.
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