Micillo. È vero forse questo, o gallo. Ma io non mi vergogno di dirti quel ch’io sento. Io non posso lasciare quel desiderio, che ho avuto fin da piccino, di diventar ricco: ho ancora innanzi agli occhi quel sogno che m’ha fatto vedere tant’oro; e mi sento scoppiare di dispetto che quel birbon di Simone debb’aver tanto bene.
Il gallo. Ti risanerò io di questo, o Micillo: e giacchè è ancor notte, lévati, e seguimi: ti condurrò proprio da Simone, e nelle case di altri ricchi, e vedrai la vita loro.
Micillo. E come, se le porte son chiuse? vorrai ch’io rompa le mura?
Il gallo. No: ma Mercurio, a cui io son sacro, mi diede una virtù, che se questa penna più lunga e mollemente ricurva che ho nella coda....
Micillo. Ne hai due così.
Il gallo. La destra adunque, da chi me la lascio strappare, egli tenendola, per quanto tempo io voglio, può aprire ogni porta, e vedere ogni cosa, senz’essere veduto.
Micillo. Non sapevo, o gallo, che sei anche stregone. Se mi darai un po’ cotesta penna, vedrai tosto tutte le ricchezze di Simone portate qui, chè le trasporterò io stesso, ed egli tornerà a morder le suola e tirar gli spaghi.
Il gallo. Questo no. Mercurio mi ordinò che chi, avendo la mia penna, facesse una siffatta cosa, che io gridassi e lo scoprissi.
Micillo. Non par vero che Mercurio ladro voglia onesti gli altri. Ma andiamo: io non toccherò l’oro, se posso.
Il gallo. Svellimi prima la penna, o Micillo.... Ma che? me l’ha svelte tuttadue.
Micillo. Per non isbagliare, o gallo, per non farti parer brutto con una penna, come fosse una gamba, alla coda.
| |
Simone Micillo Simone Mercurio Simone Mercurio Micillo
|