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      Che gli dei badano agli affari di quaggiù, non tutti l’affermavano: ma vi era chi levava loro questo incomodo, come noi sgraviamo i vecchi dai pubblici negozi, e non li faceva entrar per niente in commedia, come fosser comparse sul teatro. Altri finalmente mandando a monte ogni cosa, e dei, e non dei, credevano che il mondo senza signore e senza guida vada così a caso. Udendo tutte queste cose, io non m’attentava di negar fede ad uomini che avevano una voce e una barba mirabile; ma ripensando ai loro discorsi io non sapevo come non trovarvi errori molti e contraddizioni. Onde m’interveniva proprio come dice Omero: spesso mi sforzai di credere a qualcuno di loro, ma un altro pensier mi tratteneva. Tra tutti questi dubbi, disperando di poter sapere la verità su la terra, mi persuasi che una sola via vi sarebbe per uscire di quell’affanno, se io stesso volando andassi in cielo. E mi dava qualche speranza il gran desiderio che n’avevo, ed Esopo che nelle sue favole ci conta come aquile e scarafaggi e camelli ancora seppero trovare per dove si va in cielo. Ma perchè vedevo che l’ali non mi nascerebbero mai, pensai di appiccarmi le ali d’un avoltoio o di un’aquila, le sole proporzionate al corpo d’un uomo, e così tentare una pruova. Presi adunque questi uccelli, e tagliai accuratamente l’ala destra dell’aquila e la sinistra dell’avoltoio, le congiunsi, me le attaccai agli omeri con forti corregge, adattai alle punte un ingegno per tenerle con le mani, e feci la prima pruova, saltellando ed aiutandomi con le mani, e come le oche che appena si levan di terra, io andavo su le punte de’ piedi e dibattevo l’ali.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Secondo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 538

   





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