Ma queste due moli altissime, e l’Oceano che tranquillo rifletteva i raggi del sole, mi fecero accorto che io vedevo la terra. E come vi ficcai gli occhi attenti mi si parò innanzi tutta la vita umana, non pure le nazioni e le città, ma gli uomini stessi, chi navigava, chi guerreggiava, chi coltivava i campi, chi piativa; e le donne, e le bestie, e tutto quello che l’almo seno della terra nutrisce.
Amico. Tu mi di’ cose incredibili e contradittorie. Poco fa, o Menippo, tu non sbirciavi la terra tanto rappicciolita per la lontananza, che se non era il colosso, tu non l’avresti veduta; ed ora come subito divieni un Linceo, e scorgi tutte le cose che essa contiene, e gli uomini, e gli animali, e, per poco non dicesti, anche le uova di moscherini!
Menippo. Oh, a proposito, me l’hai ricordato: dovevo dirti una cosa, e l’ho tralasciata non so come. Quando adunque io mi accorsi di vedere la terra, ma di non poter discernere altro per la gran lontananza, per la quale appena vi giungeva l’occhio, io mi sentii tutto contristato e smarrito. E stando in questo affanno, e quasi spuntandomi le lagrime, ecco da dietro le spalle mi viene innanzi il filosofo Empedocle, nero come un carbonaio, e incenerato, e mezzo abbrustolato. Come io vidi costui, ti dico il vero, mi sconturbai, e lo credetti un qualche genio lunare. Ma egli: Non temere, o Menippo, disse; io non sono un iddio; perchè mi pareggi agl’immortali? Io sono il fisico Empedocle. Poichè mi gettai nei crateri dell’Etna, da un vortice di fumo fui portato qui nella luna, dove ora abito, e vo passeggiando per l’aere e mi cibo di rugiada.
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