Insomma tutte le cose svariatissime che si rappresentano su questo gran teatro mi parevano ridicolezze: e specialmente mi facevan ridere coloro che contendono per un pezzo di terra, che superbiscono di coltivare le pianure di Sicione, o di possedere quella di Maratona presso il monte Enoe, ovvero mille iugeri in Acarnania; perchè tutta la Grecia, di lassù, non mi pareva di quattro dita, e in paragone l’Attica non era più che un punto. Onde io pensavo quanta è la parte che ne hanno i ricchi che ne menano tanta superbia: chi di essi possiede più iugeri mi pareva che coltivasse uno degli atomi di Epicuro. Gettando gli occhi sul Peloponneso, e vedendo la Cinosuria, mi ricordai quanti Argivi e Lacedemoni caddero in un sol giorno per una particella di terreno non più larga di una lenticchia d’Egitto. E se vedevo qualche ricco tutto gonfio e pettoruto per avere otto anelli e quattro coppe d’oro, quanto me ne ridevo; perchè il Pargeo con tutte le mine, non era più d’un granello di miglio!
Amico. O fortunato Menippo, che vedesti sì maraviglioso spettacolo. Ma e le città e gli uomini quanto ti parevano di lassù?
Menippo. Certo hai veduto talvolta un mucchio di formiche; quali entrano, quali escono, quali vanno attorno il formicaio; una caccia fuori le lordure, un’altra, afferrato un guscio di fava o un mezzo granello, corre portandolo in bocca: e pare che anche tra esse ci sieno ed architetti, e capipopoli, e magistrati, e musici, e filosofi. Le città adunque con gli uomini mi parevano formicai.
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