Onde io, giuro alla Notte, molte volte volevo proprio andarmene di qui, fuggire il più lontano da essi per non sentirmi più tagliare da quelle male lingue. Ricordati di dirgliele tutte queste cose a Giove, e aggiungivi ancora che qui non ci posso star più, se egli non fulmini tutti quei fisici, non imbavagli i dialettici, non rovesci il Portico, non bruci l’Accademia, e non faccia finir le dispute nel Peripato: chè solo così potrò stare un po’ cheta, e non essere ogni giorno misurata. – Farò ogni cosa, io risposi, e mi levai sublime verso il cieloDove orma non appar delle fatiche
Degli uomini e dei buoi.
Indi a poco la Luna mi parve piccolissima, e non vidi più la terra: e prendendo a destra del Sole, e volando in mezzo agli astri, il terzo dì m’avvicinai al cielo. In prima disegnai di entrar diritto dentro, credendo che nessuno mi baderebbe, perchè essendo io mezzo aquila, sapevo che l’aquila è tutta cosa di Giove. Ma poi ripensai che subito saria stato scoverto per l’altra ala dell’avoltoio. Onde per non mettermi a nessun pericolo, mi feci alla porta, e picchiai. Mercurio udì, dimandò chi era, e subito portò l’ambasciata a Giove: tosto fui messo dentro tutto spaurito e tremante, e te li trovo tutti uniti e seduti, e non senza cura, ma taciti e impensieriti per quel mio maraviglioso viaggio, quasi attendendo ad ora ad ora che tutti gli uomini ci venissero volando per simil modo. Ma Giove, voltami una guardatura in torto e stranamente terribile, disse:
Chi se’ tu, di che gente, che paese?
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