Mercurio. Via, o Giustizia, chiamiamo le cause.
La Giustizia. Ben dici: chè la folla corre e tumultua, e come calabroni ronzano intorno la cittadella.
Un ateniese. T’ho afferrato, o ribaldo.
Un altro. Tu sei un calunniatore,
Un altro. Finalmente ora me la pagherai.
Un altro. Ti convincerò di tutto il male che hai fatto.
Un altro. Tira prima la causa mia.
Un altro. Vien meco al tribunale, o scellerato.
Un altro. Sta, che mi soffochi.
La Giustizia. Sai che faremo, o Mercurio? Le altre cause differiamole a dimani; oggi tiriamo a sorte quelle delle Arti, de’ Mestieri, e delle Discipline che accusano gli uomini. Or dammi i libelli di questi.
Mercurio. L’Ubbriachezza accusa l’Accademia di averle rubato Polemone.
La Giustizia. Sortisci sette giudici.
Mercurio. La Stoa accusa la Voluttà d’un oltraggio, d’averle sbrancato Dionisio dal gregge de’ suoi amatori.
La Giustizia. Bastano cinque.
Mercurio. La Mollezza contro la Virtù per Aristippo.
La Giustizia. Anche cinque per questa causa.
Mercurio. Il Banco accusa Diogene di fuga.
La Giustizia. Tirane tre soli.
Mercurio. La Pittura accusa Pirrone come disertore.
La Giustizia. Sien nove giudici.
Mercurio. Vuoi, o Giustizia, che tiriamo anche queste altre due, che sono due fresche accuse contro il Retore?
La Giustizia. Sbrighiamoci prima delle vecchie: coteste saran giudicate dipoi.
Mercurio. Eppure son una cosa con quelle, e la querela, benchè non antica, è come quelle che ora abbiamo sortite: onde vorrebbero essere giudicate insieme.
La Giustizia. Pare, o Mercurio, che tu voglia favorire qualcuno.
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