Grande ingiuria questa misera ha patito dall’Academia, che son io, essendole stato strappato l’unico servo affezionato e fedele ch’ella aveva, quel Polemone che non reputava vergogna fare ogni cosa che ella gli comandava; che di giorno andava ballonzolando per la piazza, traendosi dietro una zufolatrice, che cantava da mattina a sera, ed era sempre tra crapule e stravizzi, e col capo infiorato di ghirlande. E che questo è vero ne son testimoni tutti gli Ateniesi, i quali non han veduto mai Polemone altrimente che ubriaco. Ma poichè questo sfortunato andò per caso a canterellare innanzi la porta dell’Academia, come soleva in ogni parte, ella lo afferrò, lo strappò dalle mani dell’Ubriachezza, e menatoselo dentro, lo indusse a bere acqua, lo persuase ad esser sobrio, gli stracciò le ghirlande, e invece d’insegnargli come si beve stando mollemente adagiato, ella gli riempì il capo di magre parolette, di malinconie e di molti pensieri. Onde invece di quell’incarnato che gli fioriva sul volto, il misero è divenuto giallo e smunto; ha dimenticate tutte le canzoni; e spesso, senza mangiare e senza bere sino alla mezza notte, siede a studiar le tante inezie che io, l’Academia, insegno. E quel che più è, egli instigato da me ingiuria all’Ubriachezza, e ne dice mille vituperii. Ho detto alla meglio per l’Ubriachezza. Ora parlerò anche per me, e da ora scorra per me l’acqua.
La Giustizia. Che dirà ella in contrario? Si versi altrettanta acqua per lei.
L’Academia. Avete pure udito, o giudici, le ragioni che l’avversaria ha dette in difesa dell’Ubriachezza; ma se udirete benignamente anche le mie, saprete che in nulla io ho offeso costei.
| |
Academia Polemone Ateniesi Polemone Academia Ubriachezza Academia Ubriachezza Ubriachezza Giustizia Academia Ubriachezza
|