Questo naufrago che nuotava verso il lido, e desiderava calma, doveva essere rituffato nei flutti faticosi; e respinto in balía delle onde questo misero che s’era rifuggito alla Voluttà come all’altare della compassione; affinchè s’arrampicasse a quell’alta cima dove è la decantata virtù, sudasse e gelasse per tutta la vita, per divenir felice dopo la vita? Ma di ciò chi poteva giudicar meglio di lui, il quale ammaestrato quanto altri mai nelle dottrine della Stoa, e che il solo onesto è bello, come dipoi imparò che il dolore è un male, scelse fra le due dottrine quella che aveva provata migliore? Egli vide costoro, che ne sparpagliano tante sul dover sofferire e durar le fatiche, privatamente servire al piacere: fuori fare i gran bravi in parole, in casa vivere secondo le leggi del piacere; aver vergogna se uno li vedesse uscire del tuono grave e per non parere di tradire le loro dottrine soffrire le miserie di Tantalo; ma quando sperano di nascondersi e di violare le loro leggi, senza esser veduti, bere tutta la coppa delle dolcezze. Se uno desse loro l’anello di Gige, o l’elmo di Plutone, che li rendesse invisibili, vi so dire che volterebbon le spalle alle fatiche, e correrebbono alla Voluttà; e tutti imiterebbon Dionisio. Il quale sino a che non fu malato, sperò di cavar qualche frutto da quei ragionamenti sul dover sofferire; ma quando sofferì davvero, ed ammalossi, e sentì come il dolore lo trafiggeva, accorgendosi che il corpo suo filosofava altramente dalla Stoa e con opposti principii, credette più a sè stesso che agli Stoici: riconobbe che essendo uomo, aveva corpo d’uomo; si deliberò di non trattarlo più come una statua; e vide che chiunque parla altrimente, e biasima la Voluttà, Lo fa per dire, ma ben altro ei pensa.
| |
Voluttà Stoa Tantalo Gige Plutone Voluttà Dionisio Stoa Stoici Voluttà
|