Ho detto: or voi date il suffragio.
La Stoa. Non ancora. Concedetemi ch’io gli faccia poche dimande.
Epicuro. Dimanda; ed io ti risponderò.
La Stoa. Credi tu che il dolore sia un male?
Epicuro. Sì.
La Stoa. E il piacere un bene?
Epicuro. Certamente.
La Stoa. E sai che sia il differente e l’indifferente; il proposto ed il posposto?
Epicuro. So.
Mercurio. I giudici dicono, o Stoa, di non capir niente di coteste dimanduzze. Però tacete: chè ei daranno i suffragi.
La Stoa. Eppure la vincerei, se facessi una dimanda nella terza figura degl’indimostrabili.
La Giustizia. Chi ne ha più?
Mercurio. La Voluttà li ha tutti.
La Stoa. Ne appello a Giove.
La Giustizia. Con la buona fortuna. Tu chiama gli altri.
Mercurio. La Virtù e la Mollezza per Aristippo: si presenti anche Aristippo.
La Virtù. Spetta parlare prima a me che sono la Virtù. Aristippo è mio, come dimostrano le parole e le opere sue.
La Mollezza. No, spetta a me, che son la Mollezza: è mio egli, e si può vedere alle ghirlande, alla porpora, agli unguenti.
La Giustizia. Non contendete: questa causa sarà differita fino a che Giove non avrà giudicata quella di Dionisio, che pare sarà tra breve. Se vincerà la Voluttà, Aristippo sarà della Mollezza: se vincerà la Stoa, ei sarà della Virtù. Vengano altri. Non si dia paga a costoro, essi non han giudicato.
Mercurio. E questi poveri vecchi saran saliti fin qui per niente?
La Giustizia. Basti loro di avere il terzo. Andate: non vi dispiacete, giudicherete un’altra volta.
Mercurio. O Diogene Sinopeo, vieni, che tocca a te.
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