Non volendo più sofferire questo scandalo, nè darle querela d’adulterio, me ne andai dal Dialogo che abitava vicino, e lo pregai che mi accogliesse in casa sua. Queste sono le offese grandi che io ho recato alla Rettorica. Ma se anche ella non avesse fatto nulla di tutto questo, ben conveniva a me, essendo quasi in su i quarant’anni, di uscire del tumulto delle cause, di lasciar cheti i giudici, di metter da banda le accuse de’ tiranni e gli elogi de’ grandi uomini, ed andarmene nell’Academia o nel Liceo a passeggiare con questo buon Dialogo, ragionando tranquillamente, senza curarmi di lodi romorose e di applausi. Avrei molto a dire, ma voglio finire: voi date il suffragio secondo avete giurato.
La Giustizia. Chi ha vinto?
Mercurio. Il Siro, con tutti i suffragi, fuorchè uno.
La Giustizia. Qualche retore certamente gliel’avrà dato contrario. O Dialogo, parla innanzi ai medesimi giudici: e Voi rimanete, e avrete il doppio per le due cause.
Il Dialogo. Io, o giudici, non vorrei distendermi in lungo discorso, ma spacciarmi in brevi parole: nondimeno per seguir l’uso de’ tribunali, farò l’accusa alla meglio, essendo in tutto nuovo ed inetto a queste faccende. Ed eccovi il mio proemio. Le ingiurie e gli oltraggi che costui mi ha fatto son questi. Un tempo io ero grave e serio, contemplava gli Dei, la natura, i rivolgimenti dell’universo, camminava sublime sovra le nubi dove il gran Giove mena pel cielo l’alato suo cocchio:(143) e mentre io volavo sino alla volta del firmamento, e vagavo negli spazi del cielo, costui traendomi giù, m’ha tarpate le ali, e m’ha ridotto alla comune condizione degli uomini.
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