M’ha strappato tutto il mio nobile vestimento di tragedia, e mi ha messo indosso una giornea comica satirica, e quasi ridicola: dipoi mi ha unito al Motteggio, al Giambo, al Cinismo, ad Eupolide, ad Aristofane, uomini destri a beffare le cose gravi, e a ridere delle oneste. Infine non so dove è andato a cavare quel Menippo, vecchio cane ringhioso e mordente, e me l’ha aizzato addosso come vero e terribile mastino che morde alla sprovvista, chè così egli ridendo assanna. Come dunque io non debbo reputarmi offeso, se costui mi ha dispogliato della mia veste, e mi ha ridotto a rappresentar la commedia, a far rider la gente, a rispondere ai suoi più strani propositi? Ma il più insopportabile è, che egli mi ha raffazzonato in una guisa strana: i’ non sono più nè prosa, nè verso, ma come un ippocentauro, paio a chi m’ascolta un nuovo e mostruoso composto.
Mercurio. E a tutto questo che risponderai, o Siro?
Il Siro. Non m’aspettava, o giudici, a difendermi da quest’accusa. Avrei creduto ogni cosa, e non che il Dialogo dicesse questo di me. Quand’io lo presi tra le mani, egli pareva malinconico a molti, e magro per continue interrogazioni; e se pareva venerando, ei non era piacevole e gradito alla moltitudine; e però io lo avvezzai a camminar su la terra a modo degli uomini, gli tolsi lo squallore che aveva addosso, lo ripulii, gli posi un po’ di riso sul labbro, lo feci piacere a chi lo rimirava. Infine lo accoppiai alla Commedia, e così m’ingegnai di fargli voler bene dagli uomini, i quali fino allora non avevano ardito di prenderlo con mano perchè armato di spine come il riccio.
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