Mi scusi dunque l’antichità, se fior la lingua abborre. Ho tradotto chaire, godi; ygiaine, sta sano: eu prattein, prospera.
(2) Verso che mettono in bocca ad Empedocle quando si gettò nell’Etna. È nel primo libro degli epigrammi greci.
(3) Il valeant omnia de’ Latini: Valete silvae, di Virgilio.
(4) Hom., Odyssea, XXIV.
(5) Alessi e Filemone, poeti comici: Acheo poeta tragico.
(6) Libro degli ordini, libellus mandatorum, lettera, istruzioni scritte, che l’imperatore mandava ai governatori delle province: e cominciava: Valetudinem vestram curate.
(7) Salve Cæsar, Vale Fulvi. Il Vale usavasi dai Latini anche nel primo incontro: e dimandavano: Ut vales?
(8) Quest’ultimo periodo fa credere agl’interpetri che tutto questo discorso sia una declamazione fatta per esercizio, e che questo Esculapio sia un amico a cui lo scritto è indirizzato. A me non pare nè l’una cosa nè l’altra, se bene intendo le parole, e se vedo il legame dell’ultimo concetto coi concetti precedenti. È un desiderio, è una preghiera al dio Esculapio: Fa che questa non paia una difesa, cioè che io non abbia sbagliato, che l’augurio si effettui, che egli risani; e così questo scritto non sarà che una diceria. Potrei dire ancora che se Esculapio fosse stato un amico, Luciano non ne avrebbe gettato il nome così in ultimo, e in luogo dove non vedesi necessità; gli avrebbe fin da prima indirizzato un o kale phile, o un beltiste, un o philotes ec., come egli suol fare: e potrei dire anche qualche altra cosa: ma pensomi che il già detto persuada chi sa il greco, ed ha un po’ di buona critica.
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