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      Onde sto per dire che per questo la parassitica quasi quasi sia sapienza.
      Tichiade. Parmi che di questo hai ragionato a bastanza. Ma che anche per altri rispetti la filosofia sia inferiore all’arte tua, come lo dimostri?
      Parassito. Bisogna prima dire questo, che non mai parassito s’invaghì di filosofia, ma sappiamo che moltissimi filosofi s’innamorarono della parassitica, ed anche ora ne sono teneri.
      Tichiade. E quali filosofi mi potresti dire che attesero a fare i parassiti?
      Parassito. Tali, o Tichiade, che anche tu li sai, e fingi che io non debba saperli, come se questa arte fosse una vergogna per loro, e non un onore.
      Tichiade. No, per Giove, o Simone; e non so proprio dove li anderai a trovare.
      Parassito. O caro mio, tu mi pare che non hai letto mai le vite che ne sono scritte; se no, riconosceresti quelli che io voglio dire.
      Tichiade. Eppure, per Ercole, desidero di udire chi sono.
      Parassito. Te li additerò io, e te li conterò ad uno ad uno; non lo scarto, ma il fiore, e quelli che tu meno pensi. Eschine è il primo, quel socratico il quale scrisse quei lunghi e puliti dialoghi, e li portò seco in Sicilia per farsi conoscere da Dionisio il tiranno; e avendogli letto il Milziade, e avutane grande lode, si rimase in Sicilia a fare il parassito di Dionisio, mandate alla malora le disputazioni di Socrate. Dimmi un po’: ed Aristippo di Cirene non l’hai per un filosofo bravissi- mo?
      Tichiade. Oh, sì.
      Parassito. Ed anche egli in quel tempo dimorava in Siracusa, ed era parassito di Dionisio.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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