Tichiade. Non intendo ancora che voglia dir questo. Ma via, osserviamo.
Parassito. La piazza, i tribunali, le palestre, i ginnasii, le cacce, i banchetti, non sono questi i luoghi frequentati dai cittadini?
Tichiade. Certamente.
Parassito. Dunque il parassito non va in piazza nè in tribunale, sì perchè tutti questi luoghi, a parer mio, convengono meglio ai barattieri, e perchè quivi non si fa niente per diritto; ma frequenta le palestre, i ginnasii, i conviti, e solo egli ne fa l’ornamento. E veramente in una palestra qual retore o filosofo spogliato può paragonarsi per la persona ad un parassito? quale di essi veduto in un ginnasio non è piuttosto uno smacco del luogo? Ed in campagna nessuno di questi arresterebbe una fiera; e il parassito le aspetta che vengano, e le abbatte facilmente, avvezzo com’è nei conviti a disprezzarle; nè si sbigottisce di cinghiale o di cervo; e se un cinghiale arrota i denti contro di lui, ed ei li arrota contro di esso: dei lepri poi non ti dico niente, li seguita meglio dei cani. In un convito chi può stare a fronte di un parassito o che scherzi o che mangi? Chi più rallegra i convivanti, egli che canta e motteggia, o un uomo che non ride, e a tavola sta chiuso nel mantello, e con gli occhi bassi, come se fosse ad un mortorio e non a un desinare? Per me un filosofo in un convito è come un cane nel bagno. Ma lasciando questo da banda, veniamo alla vita del parassito: consideriamola e paragoniamola con quella degli altri. Primamente adunque ei si vede che il parassito sempre dispregia gloria, e non si cura di ciò che pensano gli uomini: e i filosofi e i retori li trovi, non alcuni ma tutti, che la superbia li strugge e l’amor della gloria, e non solo della gloria, ma, quel che è più brutto, del danaro.
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