XLVIII.
ANACARSI,
ODEI GINNASII.
Anacarsi. Che vuol dire questo che fanno i vostri giovani, o Solone? questi si afferrano con le braccia, e l’uno cerca di dare le sgambetto all’altro: quelli si stringono, si piegano, si rivoltolano nel fango, lordandosene come porci. Da prima si sono spogliati, li ho veduti ungersi d’olio, e stropicciarsene tranquillamente: poi a un tratto non so come slanciarsi l’un contro l’altro, urtarsi e cozzar fronte a fronte, come montoni. Ecco quegli, sollevato l’avversario per le gambe, l’ha battuto a terra; e standogli sopra, non lo fa rilevare, lo tien confitto nel fango, gli stringe il ventre con le cosce, gli appunta un gomito alla gola, e sta per soffocarlo: e quel poveretto di sotto gli batte la spalla per pregarlo forse che non lo soffochi davvero. Nè perchè s’ungono d’olio, si rimangono di non isporcarsi; chè, rasciutto quello, coprendosi di fango e di molto sudore, mi fanno ridere quando sguizzano come anguille dalle mani degli avversari. Altri in quest’atrio scoperto fanno le stesse cose, tuffati non nel fango ma in quest’arena profonda, se la spargono addosso l’un l’altro, e vi si dimenano e vi razzolano come i galli nella polvere; forse per potersi afferrare quando s’abbracciano, chè l’arena non fa sguicciolare la mano, e dà la presa più salda. Quegli altri ritti in piedi e coperti di polvere s’ammaccano con pugni e calci. Vedi: costui pare che sputi i denti: il misero ha la bocca piena di sangue e d’arena, percosso da un fiero pugno alla mascella.
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Solone
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