Tra questi esercizi, quello nel fango chiamasi lotta, e si fa ancora nella polvere; quel menarsi di gran pugna stando ritti in piè, chiamiamo pancrazio: abbiamo anche il pugilato, il disco, il salto: e con tutti questi noi celebriamo i giuochi, nei quali il vincitore è onorato come primo tra i suoi eguali, e riporta un premio.
Anacarsi. E quale è questo premio?
Solone. In Olimpia è una corona d’oleastro, nell’Istmo è di pino, in Nemea di appio, nei Pitii sono i pomi sacri al dio, nelle nostre Panatenee l’olio dell’olivo sacro. Ma perchè ridi, o Anacarsi? forse perchè son piccole cose?
Anacarsi. Anzi, o Solone, son pregevolissimi premii cotesti, veramente degni della magnificenza di chi gl’istituiva, e degli sforzi che tanti fanno per ottenerli: chè due poma o una fronda d’appio sono tal cosa che meritan tante fatiche, e il pericolo d’esser soffocato, o aver l’ossa rotte. Vah, come se non si potesse aver facilmente due poma quando se ne ha voglia, o coronarsi d’appio e di pino senza imbrodolarsi nella mota, e senza aver calci nel ventre dagli antagonisti.
Solone. Noi, o amico mio, non riguardiamo alla picciolezza dei doni. Questi non sono altro per noi che indizi della vittoria, segni che distinguono il prode: ma la gloria che va con questi è cosa ben pregevole pe’ vincitori: e per essa anche il ricever calci par bello a chi si affatica per acquistarla. Senza fatiche essa non viene mai; e chi la desidera deve da giovane sforzarsi molto e patire, ed aspettare il frutto dolce e lieto dopo le fatiche.
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