V’è un altro agone in cui entrano tutti i buoni cittadini, v’è un’altra corona non di pino nè d’appio, nè d’oleastro, ma formata della felicità comune, cioè della libertà di ciascuno e di tutta la patria, della ricchezza, della gloria, della celebrazione delle feste stabilite dai nostri antenati, della conservazione de’ nostri averi, e di tutti i beni più cari che si possono dimandar agli Dei. Tutti questi beni sono intrecciati nella corona ch’io ti dico, e si acquistano in quell’agone, nel quale si entra per questi esercizii e queste fatiche.
Anacarsi. O ammirabile Solone, avevi a parlarmi di tali e tanti premii, e mi contavi di poma, di appio, di un ramoscel di pino, e d’oleastro?
Solone. E neppur questi ti parranno piccoli, o Anacarsi, quando avrai bene intese le mie parole: per la stessa ragione si fanno queste cose, e tutte, sono piccole parti di quel grande arringo e di quella corona di felicità, di cui ti parlavo. Ma non so come discorrendo siam saltati innanzi un tratto, e siam tornati ai giuochi istmici, olimpici e nemei. Intanto giacchè noi siamo scioperati, e tu se’ vago di ascoltarmi, rifacciamoci da capo, e parliamo di quel grande arringo, pel quale t’ho detto che noi così ci prepariamo.
Anacarsi. Sarà meglio così, o Solone: il nostro discorso procederà con più ordine: e forse così io mi persuaderò più presto di non ridere vedendo chi va superbo d’una corona d’appio o d’oleastro. Ma, se ti pare, andiamo a quell’ombra, e sediam su quei seggi, per non essere disturbati dagli applausi che si danno ai lottatori: ed anche, a dirti il vero, perchè mi fa male questo sole acuto e bruciante che mi cade sul capo.
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Solone Anacarsi Solone
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