Solone. Mi ricordavo de’ nostri accordi, o amico mio, e non voglio uscir di proposito per non confonderti la memoria sciorinandoti troppe cose. Ma pure per contentarti parlerò di questo il più breve che io posso: un’altra volta vi faremo sopra più riposato ragionamento. Noi educhiamo la mente dei giovani(16) insegnando loro le pubbliche leggi, le quali esposte agli occhi di tutto il popolo e scritte a grandi lettere comandano ciò che convien fare, e ciò che fuggire;(17) e facendoli conversare con uomini dabbene, dai quali imparano a dire il convenevole, fare il giusto, serbare eguaglianza coi cittadini, fuggire le turpitudini, desiderare l’onesto, non usar mai violenza. E questi uomini dabbene tra noi son chiamati sofisti e filosofi. Li meniamo ancora nei teatri, dove hanno pubblico insegnamento dalle tragedie e dalle commedie, vedendo rappresentate le virtù degli uomini antichi, e le malvagità: e così s’invogliano a seguitar quelle, e fuggir queste. Noi permettiamo che la commedia motteggi e riprenda i cittadini noti per turpi e rilassati costumi, per amor di loro stessi, acciocchè si correggano, e per amore degli altri, i quali così si guardano di meritare riprensione per falli simiglianti.
Anacarsi. Li ho veduti, o Solone, cotesti che rappresentano le tragedie e le commedie: son quelli che van calzati di quei calzari alti e pesanti, con le vesti a fasce e frange d’oro, con in capo una ridicola barbuta che ha una gran bocca squarciata, donde mandavan fuori gran vocioni, e non so come camminavano così impastoiati in que’ calzari.
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Solone
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