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      Li esercitiamo a saltare, se bisogna, una fossa o altro impedimento, e tenendo nelle mani grosse palle di piombo. Ed anche fanno a chi scaglia il dardo più lontano. Tu hai veduto nel ginnasio una cosa di rame, rotonda, come un picciolo scudo senza manica e senza corregge; hai provato di sollevarla da terra, e t’è paruta pesante e difficile a tenersi con mano perchè levigata. Ed essi la lanciano in alto e in lungo, gareggiando a chi la manda più su o più lontano: e questa fatica afforza gli omeri e rende le mani tenaci alla presa. Il fango poi e la polvere, di che da prima tu ti ridevi, ecco, o caro mio, perchè sono qui sparsi: prima perchè le cadute non sieno violente, ma sul molle cadano senza pericolo: poi perchè i corpi sudati ed infangati diventano necessariamente più sdrucciolevoli, e tu stesso li paragonavi ad anguille. Nè questa è cosa inutile o ridicola, ma dà non poca forza e tensione alle membra, quando impiastrati così vengono all’afferrarsi e al ghermirsi forte perchè l’uno non isguizzi dall’altro: nè credere che sia niente rattenere uno che unto di olio e di fango, sforzasi di uscirti e sguicciolar delle mani. Tutto questo, come testè ti dicevo, ci è utile in guerra, in caso di dover portare fuori la pugna un amico ferito, o afferrare un nemico e portarlo via. Noi li esercitiamo nelle fatiche assai gravi, affinchè sopportino agevolemente le lievi. Adoperiamo poi la polvere per un effetto contrario a questo, affinchè non si sfuggano quando si sono afferrati. Poi che si sono esercitati così coperti di fango a rattenere un corpo sfuggevole, s’avvezzano a sfuggire da chi li tiene forte ghermiti con le mani.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448