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      Ma non sai tu che č meglio non aver sete, che bere; non aver fame, che mangiare; non aver freddo, che posseder molte vesti? Orsų, giacchč tu nol sai, t’insegnerō io come si fa il tribolo: ricomincia a piangere, e di’ a questo modo: Povero figliuolo, che non sentirai pių nč fame, nč sete, nč freddo. Infelice, che ti parti da me, e fuggi le malattie, e non temi pių nč febbre, nč guerra, nč tiranno. O disgrazia, che non sentirai pių il martello d’amore, nč pių ti sfinirai con le femmine menando la spola due e tre volte il dė, non diventerai vecchio, e spregevole, e noioso ai giovani. Se tu dicessi cosė, o padre, non ti parrebbe di dire cose pių vere e pių ingenue di quelle che hai dette? Forse t’affanni a pensare che colā siam tutti nelle tenebre ed in un buio grande, e temi ch’io non m’affoghi cosė chiuso nel sepolcro? Ma dovresti sapere che gli occhi miei tosto imputriditi o bruciati (se avete stabilito di bruciarmi) non potran pių vedere nč tenebre nč luce. Per me č tutt’uno. A che dunque mi giovano i vostri lamenti, e il picchiare del petto alla cadenza dei flauti, e le interminabili cantilene delle donne, ed il sepolcro ornato di ghirlande? Che volete voi con coteste libazioni di vino? credete che ne scenda a noi, e ne goccioli sino nell’inferno? Guardate nei sacrifizi funebri come la parte migliore delle vittime vassene in fumo su verso il cielo, e non giova punto a noi altri che stiamo gių. Quel che resta č cenere inutile, se pure non vi date a credere che noi ci cibiamo di cenere.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





Povero