Se poi talvolta ti pare che ci bisogni la cantilena, e tu di’ tutto in cantilena; e quando anche non c’entra il canto, tu chiama per nome i giudici ad uno ad uno in cantilena, e credi pure che sarà armonia compiuta. Mettici spesso quell’ohimè, ohimene! e battiti l’anca, e trilla, e gorgheggia, e passeggia, e culeggia. E se non ti applaudiscono, sdegnati e sgridali; se stanno in piedi e per un po’ di vergogna non se ne vanno, comanda che si seggano; insomma fa’ da signore assoluto. Acciocchè poi il volgo ammiri la tua eloquenza, comincia da Troia, o dalle nozze di Deucalione e Pirra se vuoi, e così scendi a parlare de’ tempi moderni. Perchè gl’intendenti son pochi, e la maggior parte per benignità si taceranno, e se diranno qualcosa, parrà che lo facciano per invidia: ma la moltitudine ammira il portamento, la voce, lo spasseggiare, il culeggiare, la cantilena, la scarpetta, e quel tuo scoccante checchè; e vedendoti sudare ed affannare non potranno non credere che tu sei un terribilissimo atleta nel parlare. Ma principalmente il dire improvviso fa moltissime cose scusare, e molte ammirare dalla moltitudine: onde bada di non scrivere mai, nè pensare prima di presentarti ad aringare; se no lo scacco è certo. Gli amici poi ti battan le mani sempre, e ti ricambino dei desinari, porgendoti una mano se s’accorgono che stai per cadere, ed aiutandoti a trovare quel che hai a dire negl’intervalli degli applausi. Chè devi pensare anche a questo di avere un coro tuo privato e concertato, il quale ti presti quest’ufficio mentre parli; e quand’esci facciano ala e corteo intorno a te, che fra loro vai ragionando di ciò che hai detto.
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