Tichiade. Una volta, o Filocle, io solevo andare da lui quando non avevo troppo che fare: stamane dovendo essere con Leontico, che è mio amico come tu sai, ed avendo udito dal servo che egli era uscito per tempo ed andato a visitare Eucrate infermo, io sì per abboccarmi con Leontico, e sì per vedere Eucrate, di cui non sapevo la malattia, sono andato da costui. Non v’ho trovato Leontico, che m’han detto, se n’era ito allora allora, ma una buona brigata: tra gli altri Cleodemo del Peripato, Dinomaco lo stoico, e quel Jono che nelle dottrine di Platone vuol essere tenuto mirabile, e come il solo che ne ha ben inteso i pensieri e può spiegarli agli altri. Vedi che uomini ti dico, che cime di sapienza e di virtù, il fiore di ciascuna setta, che pur con l’aspetto mettono riverenza e timore. V’era ancora il medico Antigono, chiamato forse per la malattia. Eucrate pareva già stare meglio: la sua malattia era di quelle che nascono con l’uomo: l’umore gli era disceso di nuovo ai piedi. Siedi vicino a me sovra il letto, mi ha detto Eucrate facendo la voce bassa e fievole, al vedermi, quando che entrando io l’avevo udito gridare e disputare: ed io badando di non toccargli i piedi, e scusandomi, come si suole, che non sapeva del suo male, e che saputolo era corso subito a visitarlo, me gli sono seduto vicino. S’era ragionato, ed ancora si ragionava della malattia, e ciascuno proponeva qualche rimedio.
E Cleodemo ha detto: Se dunque uno con la mano sinistra alza di terra il dente d’una donnola così uccisa come v’ho detto, e ravvoltolo nella pelle d’un lione scoiato di fresco, l’applica intorno le gambe, subito cessa il dolore.
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