Non è gran cosa, io dissi, che tu l’hai veduto, o Jono, se tu vedi anche le idee di Platone vostro capoccia, che sono oscure per noi poveri loschi.
Forsecchè solo Jono ha veduto i demoni, disse Eucrate, e tanti altri non li hanno scontrati e di giorno e di notte? Io non una, ma mille volte ne ho veduti. Da prima ne spiritavo, ma ora che mi ci sono avvezzo non mi pare più di vedere una cosa strana, specialmente dacchè un Arabo mi diede un anello fatto del ferro di certe croci, e m’insegnò un incantesimo di molte parole: salvo se non credi neppure a me, o Tichiade.
Oh, come non crederei, dissi, ad Eucrate di Dinone, uomo di tanti anni, che in casa sua discorre autorevolmente di ciò che gli piace?
Il fatto della statua, disse Eucrate, la quale ogni notte apparisce a tutti di casa, a fanciulli, a giovani, a vecchi, non solo io lo posso contare, ma tutti i miei familiari.
Di quale statua? risposi.
Ed egli: Non hai veduto entrando nel cortile quella bellissima statua ritta in piè, opera dello scultore Demetrio?
Forse dici quell’atleta, soggiunsi, chinato in atto di lanciare il disco, che si guarda la mano in cui lo tiene, e piega un po’ il ginocchio di dietro per dare più forza alla gittata?
Non è desso, rispose: è opera di Mirone quel giocatore di disco, che tu dici: e neppure quell’altra statua vicina, col capo cinto d’una benda, quel bel giovane che è scoltura di Policleto. Ma lascia tutte quelle che sono a destra entrando, tra le quali i Tirannicidi di Crizia e di Nisioto: hai tu veduto presso al rivoletto dell’acqua quel panciuto, calvo, mezzo nudo, e mezzo coverto dal mantello, con pochi peli alla barba, con le vene rilevate, che pare proprio un uomo vivo? quello dico; e credo sia Pelico, capitano de’ Corintii.
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