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      Ed io pensavo tra me: Vedi che uomini insegnano la sapienza ai giovani, e sono in tanta stima dell’universale! per la sola barba e pei capelli bianchi differiscono dai bimbi: e per tutt’altro anche più dei bimbi si lasciano infinocchiar con le bugie.
      E Dinomaco disse: Dimmi, o Eucrate, i cani della dea quant’erano grandi?
      E quegli: Più degli elefanti d’India, neri, pelosi, col vello tutto lordo e brutto. Come io la vidi ristetti, e rivolsi all’intorno del dito la gemma dell’anello datomi dall’Arabo, ed Ecate percosse il suolo col piè di serpente, v’aprì una voragine vasta quanto il Tartaro, e in essa sprofondò e disparve. Riavutomi dallo spavento, m’affacciai su quell’abisso, tenendomi ad un albero che quivi era, affinchè per qualche aggiramento di capo non cadessi giù; e vidi tutto l’inferno, il fiume di fuoco, il palude, Cerbero, e i morti, per modo che ne riconobbi alcuni: e vidi benissimo mio padre nelle stesse vesti che lo seppellimmo.
      E che facevano le anime, o Eucrate? disse Jono.
      Che altro, ei rispose, se non che per genti e per tribù tra amici e parenti ragionare sdraiati sovra prati d’asfodillo?(26)
      E Jono: Contraddicano ora gli Epicurei al divino Platone ed alla sua dottrina delle anime. Ma Socrate e Platone li vedesti tra i morti?
      Socrate sì, quei rispose; ma non lo affermo di certo: lo credetti lui perchè era panciuto e calvo: ma Platone non lo riconobbi affatto: agli amici debbo dire il vero com’è. Mentre io guatavo attentamente ogni cosa, e la voragine si richiudeva, alcuni de’ miei servi che mi cercavano, fra i quali questo Pirria, sovraggiunsero che non era ancora chiusa la voragine.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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