Di’, o Pirria, s’io dico il vero.
Sì, per Giove, disse Pirria, ed udii latrati che uscivan di quell’abisso, e mi parve di vedervi un fuoco come d’una face.
Io risi del testimone, che del suo v’aggiunse i latrati ed il fuoco.
E Cleodemo: Non sono cose nuove queste, nè l’hai veduta tu solo: anch’io quando non ha guari fui ammalato, vidi una cosa simile: mi visitava e mi curava Antigono nostro qui. Il settimo giorno la febbre come infiammatoria era ardentissima: tutti mi avevano lasciato solo, e, chiusa la porta, aspettavano fuori: così aveva ordinato Antigono, se mai potessi dormire un po’. Ed essendo io svegliato, ecco un giovane oltremodo bellissimo e vestito di bianco, che mi fa levare, e mi conduce per una voragine nell’inferno, dove vidi e subito riconobbi Tantalo, Tizio, Sisifo, e tanti altri, dei quali a che vi parlo? Poi che fummo innanzi al tribunale (dove erano Eaco, e Caronte, e le Parche, e le Erinni), uno come un re, (parvemi Plutone), vi si sedette, e recitò i nomi di alcuni che dovevan morire essendo vissuti di troppo. Il giovane mi presentò, ma Plutone sdegnossi, e disse alla mia guida: Non ancora è compiuto il filo a costui; però se ne torni. Tu conducimi il fabro Demilo, che ha già pieno il suo fuso. - Io lieto me ne risalgo; la febbre era già ita: dico a tutti che tra poco saria morto Demilo, che era nostro vicino, e m’avevan detto che era anch’egli malato: ed indi a poco udimmo le strida di coloro che lo piangevano.
Che maraviglia è questa? disse Antigono. Io conosco uno che venti giorni dopo che fu sepolto risuscitò: e l’ho curato io prima che ei morisse, e dopo che fu risuscitato.
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