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      Se dice questo non dice poi uno sproposito.
      Per Giove, rispose Dinomaco, ei crede che di tali cose non ci sia niente, e che niente se ne vegga.
      Che dici tu! voltommisi Arignoto con un piglio bieco: non ci è niente di queste cose, quando tutti, per dir così, le vedono?
      Tu fai la causa mia, io risposi: non lo credo, perchè non lo vedo: se vedessi, crederei come voi.
      Orbè, diss’egli, se vai a Corinto, dimanda dov’è la casa di Eubatide, e poi che te l’avranno additata presso il Craneo, entravi, e di’ al portinaio Tibia che vuoi vedere il luogo donde il pitagorico Arignoto cavò un demone e lo scacciò, e rendette abitabile la casa.
      Che è cotesto, o Arignoto? dimandò Eucrate.
      Da molti anni, ei rispose, quella casa era deserta per paura delle fantasime. Chi s’attentava di abitarvi subito era battuto, cacciato, perseguitato da un terribile e spaventevole spettro: onde era cadente, il tetto sfondato, e la gente si spiritava di pure avvicinarsi. Come io n’ebbi molto, prendo un libro (e n’ho di molti egiziani che trattano di questa materia), e vado a questa casa in su l’ora del primo sonno, benchè me ne dissuadesse e quasi mi sforzasse il mio ospite come seppe dove io andava, che era a un pericolo certo, secondo ei credeva. Ma io con una lucerna in mano e tutto solo entro, e nel più grande stanzone pongo giù il lume, mi siedo sul pavimento, e mi metto a leggere tranquillamente. Ed ecco il demone, che credendo di avere a mano un uomo come gli altri e di spaurire anche me, m’apparisce bruttissimo, con lunghi capelli, e più nero della notte.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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