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      Ecco qui, che io come Momo, do la baia a me stesso, e, per Giove, non ci vorrei aggiungere di più la spiegazione della favola. Voi già vedete la simiglianza della favola col fatto mio. Onde se è scappato qualche sproposito, l’ubbriachezza ci ha colpa; se è venuta detta qualcosa sennata, Sileno certamente era propizio.
     
     
      LIV.
      DICERIA,
      OERCOLE.
     
     
      I Celti danno ad Ercole il nome di Ogmio in lingua loro, e dipingono l’immagine di questo dio assai strana. Per essi è un vecchione con la fronte calva, e tutto canuto negli altri capelli che gli rimangono, la pelle rugosa, arsa e nera, come l’hanno i vecchi marinai. Piuttosto lo crederesti un Caronte, o un Giapeto, o uno degl’iddii tartarei, e tutt’altro che Ercole. E benchè di questo aspetto, pure ha le insegne di Ercole; la pelle del leone in dosso, nella mano destra la clava, la faretra pendente ad armacollo, l’arco allentato nella sinistra, e in tutto questo è desso Ercole. Sicchè io credevo che per oltraggio agl’iddii dei Greci, i Celti guastassero così la figura di Ercole, facendo con siffatta pittura una vendetta di lui, che una volta invase e devastò il loro paese, quando cercando i buoi di Gerione, andò scorrendo tra molte genti di ponente. Eppure il più nuovo di quella pittura non l’ho detto ancora. Quel vecchio Ercole tira una gran moltitudine di uomini tutti legati per le orecchie. I legami sono catenelle sottili fatte di oro e di ambra, simili alle più belle collane. E benchè per sì debil modo condotti, essi non pensano di fuggire, e potrebbero facilmente, nè resistono affatto o pontano i piè mostrandosi restii d’andare innanzi, ma seguono lieti e gioiosi, e applaudiscono il conduttore, sospingendosi tutti, e volonterosi di prevenirlo allentano quel legame, e pare che si dorrebbero se ne fossero sciolti.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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