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      Vivendo in compagnia degli uomini, nella stessa casa, alla stessa mensa, si ciba di ogni cosa, tranne l’olio, che è la sua morte, se ne beve. Ed essendo di corta vita (chè brevissimo spazio l’è assegnato a vivere), vuole stare sempre in piena luce, e farvi tutti i fatti suoi. La notte sta cheta, e non vola, nè ronza, ma per paura si raccoglie e non si move. Di accorgimento posso dire che ne mostra assai quando sfugge il suo insidiatore e nemico, il ragno; il quale l’apposta, ed essa lo guarda di fronte, declinando l’assalto, per non essere presa nelle reti, nè cader tra le branche di quell’animaletto. Del suo coraggio e della sua forza non dobbiamo parlar noi; ma il più magnifico dei poeti Omero, volendo lodare un fortissimo eroe, non lo paragona per forza al leone, al pardo, al cinghiale, ma alla mosca, per l’ardire e l’intrepidezza e la perseveranza del suo assalto: e dice ardire non temerità; chè scacciata, dic’egli, non vassene, ma pur torna al mordere. Tanto si compiace di lodare la mosca, che non una volta sola nè in poche parole fa menzione di lei, ma spesso, ed il verso si abbellisce quando ne ricorda. Ora descrive uno sciame di mosche che vola sul latte: ed ora quando Pallade svia la saetta da Menelao acciocchè non lo colga in parte vitale, rassomigliandola ad una madre che veglia sul suo pargoletto dormente, ei porta un’altra volta la mosca per paragone. E dice anche bellamente che esse vanno in serrate frotte, e i loro sciami chiama genti. Tanto poi è gagliarda che quando morde, trapassa non pure la pelle dell’uomo, ma del bue ancora e del cavallo, e fa male all’elefante entrandogli tra le rughe, e con la sua proboscide, secondo la sua grandezza, offendendolo.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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