Infatti in questo ebbe la ventura di Orfeo, e nel chiamarsi i soli cani addosso. E allora si vide chiaramente non esser la lira che dilettava, ma l’arte ed il canto soli, che in grado eccellente Orfeo ebbe dalla madre; la lira non era roba migliore di qualunque altra cetra. Ma a che ti parlo di Orfeo e di Neanto, quando c’è stato uno ai nostri dì, e forse c’è ancora, che comperò per tremila dramme la lucerna dello stoico Epitteto, la quale era di creta? Sperava forse che leggendo egli la notte a quella lucerna, gli verrebbe come per influsso la sapienza di Epitteto, e diventerebbe simile a quel mirabile vecchio. Ieri poi o l’altrieri un altro comperava per un talento il bastone, che Proteo il Cinico lasciò, quando si gettò nel fuoco, e serba quell’arnese, e lo mostra, come i Tegeati mostrano la pelle del cinghiale di Caledonia, i Tebani le ossa di Gerione,(40) e i Menfiti le trecce d’Iside. E il possessore di quella cosa mirabile salta a piè pari innanzi a te per ignoranza e sporcizie (vedi fior di roba che ei dev’essere) e vorria davvero quel bastone sul capo.(41)
Si conta che Dionisio fece anch’egli una tragedia, ma così sciocca e ridicola che per essa Filosseno andò molte volte nelle latomie non potendo contenere il riso. Accortosi che era beffato, con molta diligenza comperò la tavoletta su la quale Eschilo scriveva, credendo che l’estro e l’entusiasmo gli verrebbe dalla tavoletta. Ma appunto sopra di questa egli scrisse scempiaggini più sguaiate; come quel verso:
Dori mori, la donna di Dionisio;
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