Ma essendoci tre persone in scena, come nelle commedie, il dinunziante, il dinunziato, e colui appo il quale si fa la dinunzia, consideriamo la parte di ciascuno.
E primamente, se volete, facciam comparire il protagonista del dramma, dico l’autore della dinunzia. Che costui non sia un uomo dabbene, a tutti, credo, è chiaro. Perchè nessun uomo dabbene cagionerebbe male al prossimo; ma gli uomini dabbene col beneficare gli amici, non coll’incolparli a torto, e farli odiare, vengono in riputazione e acquistano fama di bontà. Ma quanto costui sia ingiusto, iniquo, empio, e nocevole a chi s’impaccia con lui, di leggieri si vede. Nessuno può negare che la giustizia consiste nell’eguaglianza in ogni cosa, e nel niente di soverchio,(48) e la ingiustizia nella disuguaglianza e soverchianza. Or colui che di soppiatto dinunzia i lontani, come non è soverchiatore, se egli fa suo interamente chi lo ascolta, ne preoccupa le orecchie, le chiude, le rende inaccessibili al secondo discorso, riempiutele già della dinunzia? Suprema ingiustizia è questa, come direbbero quegli ottimi legislatori Solone e Dracone, i quali obbligavano col giuramento i giudici ad ascoltare le due parti nel modo stesso, ed attendere con eguale benevolenza all’accusatore ed all’accusato, finchè bilanciato il primo detto ed il secondo, apparisse dov’è la ragione e dove il torto. Prima di contrapporre la difesa all’accusa, credevano che sarebbe del tutto empia e scellerata una sentenza. Imperocchè si può dire che anche gli Dei si sdegnerebbero, se lasciassimo dire sicuramente all’accusatore ciò che egli vuole, e turandoci le orecchie alle difese dell’accusato, o imponendogli silenzio, lo condannassimo persuasi al primo discorso.
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Solone Dracone
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