E colui se ha punto di generosità, di libertà di animo e di franchezza, tosto rompe nello sdegno, e versa fuori la sua ira, ed infine ne ascolta la difesa, e riconosce che a torto s’accese contro l’amico. Ma se è ingeneroso e basso, s’avvicina, e gli sorride a fior di labbra, ma in cuor suo l’odia, e di soppiatto arrota i denti, e, come dice il poeta, preme ira profonda in petto. Io non credo ci sia cosa più ingiusta e più servile di questa, mordersi le labbra, nudrir la collera in segreto, rugumar lo sdegno chiuso, altro ascondendo in cuor, altro dicendo, e rappresentare con lieta e comica maschera una trista e luttuosa tragedia.
S’infingono a questo modo specialmente quando credono che il dinunziante sia amico al dinunziato, e sì lo accusi. Allora neppur la voce vogliono più udire del dinunziato che si scagiona; degna di fede supponendo l’accusa che viene da chi pare amico di lungo tempo; senza riflettere che spesso tra amicissimi intervengono molte cagioni di odio nascoste agli altri. E spesso ancora taluno quel peccato di cui egli è reo, si affretta di appiccare ad altri, tentando così sfuggire accusa. In generale nessuno si mette a dinunziare un nemico scoperto: chè subito pare falsa l’accusa, essendone manifesta la cagione; ma tutti assaltano i creduti amici, fingendo così di mostrare benevolenza a chi li ascolta, se per bene di costui non la risparmiano nemmeno agli intimi loro. Ci ha poi alcuni i quali ancorchè conoscano finalmente che i loro amici furono a torto calunniati, pure per vergogna di aver creduto alla calunnia, non osano più avvicinarli nè guardarli in faccia, come offesi di averli trovati innocenti.
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