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      Quantunque forse un galantuomo ci spreca le buone e franche parole con te; perchè nè tu diventeresti mai migliore per riprensione, e sei come lo scarafaggio che non si può svezzare da quelle pallottole, nè credo ci sia alcuno che ignori le tue sfacciataggini, e la vergogna che sei vecchio e fai a te stesso. Le tue sozzure non sono nè caute nè nascoste: e non ci è bisogno che uno ti spogli della pelle del leone per parere quel somiere che sei, se pure non ci capitasse ora qualcuno degl’Iperborei, o un baggeo tale, che a prima vista non ti riconoscesse pel più insolente asino del mondo, e non aspettasse di udirti ragghiare: tanto le tue valenterie da lungo tempo, e prima di me, sono state strombettate molte volte per tutto il mondo, e sei per esse famoso più di Arifrade, più del sibarita Mistone, e più di quel Basta di Chio, che fu il dottore dell’arte vostra. Nondimeno dirò quattro parole, benchè parrà di cose vecchie, per non essere tacciato che io solo non le conosco.
      Ma piuttosto invocheremo uno dei prologhi di Menandro, l’Accusa, dea amica alla Verità ed alla Franchezza, non ignobile tra quanti prologhi montano su la scena, nemica soltanto a voi che temete la lingua sua, che sa e ridice apertamente tutti i fatti vostri. Saria bello infatti, se ella volesse uscire innanzi a voi spettatori e raccontarvi tutto l’intreccio del dramma. Su via, o Accusa, ottima dei prologhi e delle dee, vedi come informar chiaramente gli ascoltatori, che non senza ragione, nè per astio, nè senza prima lavarmi i piedi, come dice il proverbio, io son venuto in questa contesa, ma per vendicarmi d’una ingiuria privata, e per abborrire un uomo sozzissimo pubblicamente abborrito.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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