Dopo che avrai esposte soltanto queste cose, vattene subito, e lascia a me il resto: chè io t’imiterò, e lo accuserò di molte altre; e così nessuno potrà incolparti che manchi di verità e di franchezza. Nè lodare me innanzi a loro, o carissima Accusa; nè svertare tu così le turpitudini di costui, perchè non conviene a te che sei Dea lordarti la bocca parlando di tali sozzure.
Ed ecco il Prologo dice così:
Costui che si spaccia per sofista venne una volta in Olimpia per recitare un suo discorso scritto molto tempo prima alla gente radunata per la festa. Argomento dello scritto era Pitagora impedito, forse da qualche Ateniese, di essere iniziato nei misteri di Eleusi, come barbaro, avendo detto egli stesso che prima di essere Pitagora era già stato Euforbo. Era quel discorso, come la cornacchia di Esopo, raffazzonato di varie penne altrui. Or volendo ei parere di non isciorinar roba vecchia, ma di dire all’improvviso il libro, prega un suo familiare (che era di Patrasso, e faceva l’avvocatuzzo) che quando egli chiederebbe argomenti da ragionarvi sopra, gli proponesse Pitagora. Quei così fece, e indusse gli spettatori a volere ascoltare quel discorso sopra Pitagora. Intanto ei si messe a recitare in modo che la finzione si scopriva, precipitando una diceria già bene studiata e lambiccata; benchè egli con una grande impudenza continuava, e s’aiutava, e s’arrabattava. Ridevano gli uditori, e alcuni sguardando in viso quel di Patrasso, mostravano di essersi accorti della gherminella; ed altri riconoscendo le cose che egli diceva, per tutto il tempo che stettero ad ascoltare, facevano a chi di loro avesse miglior memoria e distinguesse questo e quel brano di chi fosse de’ recenti sofisti più lodati per quelle che chiamansi declamazioni.
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