In che dunque puoi lagnarti di me, che mi tratti così, e mi usi ad operazioni turpissime, a servigi abbominevoli? Non basta quel che fo il giorno, mentire, spergiurare, versar fuori tante sciocchezze e insipidezze, anzi vomitare quel fango dei tuoi discorsi? Neppure la notte vuoi ch’io poveretta stia cheta, ma io sola debbo farti ogni cosa, io strapazzata, io sporcata, io non più lingua, chè tu mi adoperi all’uso della mano, e mi oltraggi come se fossi di un altro, e mi sommergi in tante lordure. L’ufficio mio è solamente parlare: il fare e patire di tali cose appartiene ad altre membra. Oh che bene mi farebbe se uno mi tagliasse, come quella di Filomela! Più fortunate di me le lingue di quelli che si mangiarono i propri figliuoli! - Deh per gli Dei, se dicesse così la lingua, pigliando la favella che l’è propria, e chiamasse per avvocata la tua barba, che le risponderesti? Quello certamente che testè rispondesti a Glauco, il quale ti biasimava del tuo operare, e tu: Che tu così in breve tempo sei divenuto famoso, e noto al mondo; che come avresti potuto venire in tanta fama per la eloquenza? che si ha a trovare un modo qualunque per divenire illustre e rinomato. E le potresti ancora annoverare i soprannomi che hai avuti dalle diverse genti tra cui sei stato. La mia maraviglia è che ti è saputo agro udire quell’infausto, e per quei soprannomi non ti offendevi. In Siria ti chiamavano l’oleandro, il perchè, per Pallade, ho vergogna a dirlo; onde per parte mia rimanga ignoto: in Palestina fosti chiamato la Siepaglia, per le spine della barba, forse che nell’atto pungeva, perchè allora te la radevi ancora: in Egitto lo stranguglione, perchè dicono che una volta per poco non t’affogasti, avendo trovato un marinaio con una smisurata antenna che ti turò tutta quanta la bocca.
| |
Filomela Glauco Siria Pallade Palestina Siepaglia Egitto
|