Il pavone venendo ad un prato sul cominciare della primavera, quando i fiori sbocciano, e sono non pure più vaghi ma si diria quasi più fioriti, e di più puri colori, anch’esso sciorinando le ali e spandendole al sole, sollevando la coda e spiegandola a ventaglio, fa mostra dei fiori suoi e della primavera delle sue ali, come se il prato lo sfidasse. Si volge infatti e fa ruote, e pompeggia di sua bellezza; e allora pare più mirabile per i colori che alla luce cangiano, e mutansi dolcemente, e pigliano un’altra specie di bellezza. E questo avviene specialmente a quegli occhi che ha in punta delle sue penne, ciascuno dei quali è circondato come di un iride; sicchè quel colore che pareva bronzo, se ei piegasi un po’, diventa oro, e quello che al sole pareva azzurro, ombrandosi è verde, e così le sue piume cangiano bellezze ai riflessi della luce. Quando il mare sembra che inviti e attiri con la sua placidezza, voi sapete senza che io vel dica, che anche un montanaro non andato mai per acqua sente la voglia d’imbarcarsi, e di navigare, e di allargarsi dalla terra, specialmente se vede che una leggera brezza gonfia la vela, e che la nave snella e presta va come sdrucciolando su le onde. Così questa sala con la sua bellezza invita a dire, e stimola il dicitore, e porge ogni mezzo per essere applaudito. A questa spinta io cedo, anzi già ho ceduto, e sono entrato in questa sala per recitare una diceria, tiratovi come da incanto di cutrettola o di sirena, ed ho molta speranza che se anche il mio dire per l’addietro era rozzo, ora parrà bello, come di bella veste adornato.
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