Ulisse per questo timore rinsavisce, torna padre, e lascia la simulazione. Ultima è dipinta Medea, che accesa di gelosia, guarda bieca i due fanciulli, e medita terribil opra con la spada che tiene in mano, e quelle creaturine le sorridono senza sapere la loro sorte, e guardano quella spada. Tutte queste dipinture, o giudici, non vedete voi come distornano l’uditore, e lo traggono a guardarle, e lasciano solo chi parla? Ed io ve le ho esposte non affine che voi reputando il mio avversario audace e prosuntuoso per essersi messo in questo impaccio, lo condanniate, l’abbiate in uggia, lo lasciate sul meglio del suo discorso, ma affine che piuttosto gli porgiate aiuto, e serrando gli occhi come potete, ascoltiate le sue parole tenendo conto della difficoltà dell’impresa. Che appena così, avendovi non per giudici ma per aiutatori, egli potrà essere tenuto non del tutto indegno della magnificenza di questa sala. E se io così vi prego pel mio avversario, non vi maravigliate: chè per amore di questa sala io vorrei che chi parla in essa, chiunque egli sia, fosse applaudito.
LXI.
I LONGEVI.
Un sogno, o nobilissimo Quintilio, mi comanda di offerirti questo dono de’ Longevi; un sogno che già io feci e raccontai agli amici quando tu ponesti il nome al tuo secondo figliuolo; ma non sapendo indovinare quali longevi mi era comandato di offerirti, pregai allora gli Dei di concedervi lunghissima vita a te ed ai figliuoli tuoi, credendo che questa sia utile a tutto il genere umano, e in particolare a me ed a tutti i miei: perchè parevami che anche a me presagisse il dio un qualche bene.
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Medea Quintilio Longevi
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