V’è poi scritto un epigramma, anzi è meglio recitarvelo:
Così Tantalo ancora sofferiva
Forse per nero tossico le angosce
D’orribil sete che non cessa mai;
E le figlie di Danao un simil doglio,
Versandovi acqua, non riempion mai.
Ci sono ancora altri quattro versi intorno alle uova, e come uno per prenderle fu morso, ma non me ne ricorda più. Raccolgono le uova e le hanno in molto pregio quelle genti confinanti, non pure per mangiarle, ma per servirsi dei gusci come arnesi, e ne fanno tazze, non avendo creta, chè la terra è tutta arena. E se ne trovano grandi, se ne fanno cappelli, d’ogni uovo due, chè un mezzo guscio basta per un cappello. Quivi dunque s’acquattano i dipsi presso le uova, e quando s’avvicina l’uomo, escono dell’arena, e mordono il misero; al quale avviene ciò che diceva poco fa, che sempre beve, e più ha sete, e non è sazio mai.
V’ho raccontato questo non per emulare al poeta Nicandro, nè per farvi sapere che io non ho trascurato di conoscere le nature dei serpenti di Libia, chè piuttosto ai medici converrebbe questa lode, i quali debbono conoscere siffatte cose, per apporvi i rimedii dell’arte loro. Ma a me pare (e per Giove non vi offenda il paragone selvaggio) che voi facciate in me lo stesso effetto che l’acqua in quelli morsicati dal dipsa. Chè quanto più io vengo innanzi a voi, tanto più desidero di venirvi, ne ho una sete intollerabile, che mi arde, e credo non potrò mai spegnerla. Ed a ragione: chè dove troverei un’acqua sì limpida e pura? Onde perdonatemi se io essendo morso all’anima di così soave morso e salutare, mi fo delle bevute larghe, e attuffo il capo nella fonte.
| |
Tantalo Danao Nicandro Libia Giove
|