Ce ne saria una quarta, ma non mi attenterei neppure a dirla; che le Muse avendoti promesse due cose, l’una ti diedero, e ritrattarono la promessa a mezzo, dico della conoscenza del futuro, mentre che prima te l’avevano promessa nel canto. Questa cosa adunque da chi altro che da te, o Esiodo, si potria sapere? Come gli Dei sono datori di beni, così voi che siete loro amici e discepoli, dovreste anche voi con tutta verità spiegare le cose che sapete, e scioglierci i dubbi che abbiamo.
Esiodo. Io potrei, o uomo dabbene, con una facile risposta risponderti a tutto, che nessuna delle cose cantate da me è propria mia, ma delle muse, e da esse dovresti dimandar ragione di quelle che ho dette, e di quelle che ho tralasciate: chè io per le sole cose che sapevo da me (come a dire pascere, pasturare, guidar la greggia, mungere, e quanto altro è faccenda e mestiere de’ pastori) dovrei difendermi; e che le dee dispensano i loro doni a chi esse vogliono, e come meglio credono. Pure non mi mancherà con te anche una poetica difesa. Non bisogna, cred’io, coi poeti guardarla troppo nel sottile, pretendere che pesino persino le sillabe, e se qualcosa scappa nella foga del poetare, avventarvisi sopra acerbamente; ma bisogna sapere che molte parole noi le ficchiamo per compiere il verso e rendere bel suono; e talune che sono scorrevoli il verso stesso talora non so come se le piglia. Tu ci togli il maggiore dei beni che abbiamo, dico la libertà e l’arbitrio nel poetare: non guardi quante altre bellezze ha la poesia, ma raccogli fruscoli e spine, e cerchi appiccagnoli per calunniare.
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Muse Esiodo
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