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      Così capitarono anch’essi, diceva il padrone, e di notte, e di fitto buio: ma alle loro grida inteneriti gli Dei mostrarono un fuoco dalla Licia, onde essi riconobbero quel luogo; e lo splendido astro di uno dei Dioscuri venuto a posarsi in cima all’albero volse a sinistra in alto la nave che già correva di posta alli scogli. Da allora usciti del retto cammino si sono iti aggirando per l’Egeo, bordeggiando per le etesie contrarie, e settanta giorni dopo che partirono d’Egitto, ieri approdarono nel Pireo. Sono stati troppo trasportati sotto vento, mentre che avrian dovuto rasentar Creta a destra, voltar la Malea, ed esser subito in Italia.
      Licino. Per Giove! tu me lo fai mirabile pilota quell’Erone vecchio quanto Nereo, e svia tanto dal suo cammino. Ma che? non è quegli Adimanto?
      Timolao. È desso, è Adimanto: chiamiamolo. O Adimanto, ehi! Mirrinese, figliuol di Strobico.
      Licino. Una dello due, o è ingrognato con noi, o è insordito. Adimanto è, non altri: io lo riconosco bene: è il suo mantello, la sua andatura, il suo zuccone. Stendiamo il passo per raggiungerlo. Se non ti pigliamo ai panni non ti volgi, o Adimanto: ci sgoliamo, e non ci odi. Ma tu m’hai l’aria pensosa: un gran che deve frullarti pel capo.
      Adimanto. Non è niente, o Licino: una certa idea matta che m’è venuta così camminando non m’ha fatto udire: m’ero distratto a strolagare.
      Licino. E di che? Oh, diccelo, se non è qualche segreto: benchè sai che noi siamo iniziati, e imparammo a tacere.
      Adimanto. Io stesso ho vergogna a dirvelo, chè vi parrà un pensiero puerile.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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