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      Licino. Forse un mistero d’amore? Non lo svelerai a profani, chè allo splendor della sua face fummo iniziati anche noi.
      Adimanto. Niente di questo, o amico mio. Io m’avevo fabbricato in aria un castello d’oro, come dicono: e mentre sguazzavo tra ricchezze e grandezze, mi siete venuti voi addosso.
      Licino. E noi ti diciam quel proverbio: Mercurio è comune. Mettila in mezzo cotesta ricchezza: gli amici debbono avere una parte delle grandezze d’Adimanto.
      Adimanto. Mi sono disgiunto da voi come prima siam saliti su la nave, dopo che t’ho aiutato e messo su, o Licino: chè mentre misuravo la grossezza d’un ancora, non so voi dove diamine siete andati. Pure avendo veduto ogni cosa, ho dimandato uno dei marinai, quanto suol fruttare ogni anno questa nave al padrone, ed egli m’ha risposto: Dodici talenti attici a fare un conto al minimo. Ripensando a questo mentre me ne tornavo, io facevo un altro conto tra me: Se un Dio mo proprio facesse mia questa nave, che vita felice io viverei, beneficando i miei amici, facendomi talvolta qualche viaggio, o talvolta mandandovi i servi! Già con quei dodici talenti m’avevo fabbricata una casa in un bel sito poco sopra il Pecile, abbandonata la mia casa paterna su le sponde dell’Ilisso, e avevo comperati servi, vestimenta, cocchi e cavalli. Ora m’ero già imbarcato, i passeggieri mi dicevano beato, i marinai mi rispettavano e mi tenevano come un re; io già davo ordini, e salpavo, e guardavo da lontano il porto, e tu mi sei venuto addosso, o Licino, hai affondata la mia ricchezza, m’hai rovesciata la barca che andava ratta, spinta dal vento del mio desiderio.


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Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini
Volume Terzo
di Lucianus
Edizione Le Monnier Firenze
1862 pagine 448

   





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