Licino. Dunque afferrami pel collo, e menami all’Ammiraglio come un pirata che t’ho affondato, t’ho cagionato sì gran naufragio, ma in terra tra il Pireo e la città. Ma ecco qui come ti ristorerò del danno. Abbiti, se vuoi, cinque navigli più belli e più grandi di questo egiziano, e specialmente che non possano affondare, e che cinque volte l’anno ti vengano carichi di grano dall’Egitto. Allora sarai veramente insopportabile, o gran padrone di tante barche: se ora che n’hai una, fai sembiante di non udirci, quando n’avrai cinque a tre vele e che non possono perdersi, tu neppure li guarderai gli amici. Ma pure va, buon viaggio, o amico: noi altri ci sederem nel Pireo, e ai naviganti che ci capiteranno d’Egitto o d’Italia dimanderemo, se alcuno ha veduto l’Iside, la gran nave d’Adimanto.
Adimanto. Vedi? Perciò non volevo dirti il mio pensiero, sapevo che avresti riso alle spalle mie, e messo in canzone il mio desiderio. Onde io mi fermo un po’, e quando voi vi sarete allontanati, rimonterò su la nave e salperò: chè è molto meglio chiacchierar coi marinai, che essere canzonato da voi.
Licino. Niente affatto: noi resteremo, e c’imbarcheremo con te.
Adimanto. Ma io tirerò la scala su, come sarò montato.
Licino. E noi ti seguiremo a nuoto. Non ti credere che tu puoi posseder tante navi senza averle nè comperate nè fabbricate, e che noi non potremo ottener dagli Dei di poter nuotare per molti stadii senza stancarci. Eppure non ha guari quando andammo in Egina alla festa di Nettuno, ti ricordi in che battelletto tragittammo il mare, tutti amici, pagando quattr’oboli ciascuno, e tu non isdegnavi di navigar con noi? ora ti viene la mosca che ci vogliamo imbarcar con te, e montato su tiri la scala.
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